BLOG

Riscriviamo la storia: scopriamo le impronte dell’uomo utilizzando un approccio multidisciplinare

21 Dicembre 2022

La ricerca che si svolge all’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria (IBBA) del CNR include diverse linee e, tra quelle animali, non solo il miglioramento genetico con fini produttivi ma anche la conservazione della biodiversità delle razze zootecniche locali italiane. Molte razze ovicaprine in Italia e nel mondo hanno subito secoli di selezione operata dall’uomo. Questo ha portato al progressivo abbandono delle razze tradizionali che nell’ ultimo secolo si è tradotto in un elevato tasso di estinzione tra le razze native tanto che alcune ormai sopravvivono solo in piccoli greggi allo stato “selvatico”.

Partendo dal fatto che le razze locali costituiscono un patrimonio culturale oltre che una risorsa genetica insostituibile, possiamo attribuire loro anche un valore “storico” come viene attribuito ad un manufatto o un antico codice da decifrare?

Come sappiamo, il genoma contiene le informazioni necessarie alla vita e i meccanismi evolutivi che vengono messi in atto costantemente sono la risposta adattativa di un organismo all’ambiente. Ma il genoma conserva anche i segni di tutti gli eventi demografici che la popolazione ha subito nel corso della sua formazione. Questo significa che studiando il genoma di una razza di capra, per esempio, possiamo determinare con una certa esattezza se nel passato recente ha subito una forte riduzione o anche una espansione demografica (variazione del numero degli individui che compongono la popolazione di quella specifica razza). Possiamo sapere se la razza è “pura” o se ha subito introgressioni (ossia l’introduzione di varianti alleliche) da parte di altre razze vicine geograficamente o talvolta molto distanti. È inoltre possibile datare questi eventi demografici e di migrazione utilizzando specifici metodi statistici e programmi bioinformatici ad hoc.

Ma se siamo in grado di ripercorrere la storia attraverso i reperti archeologici e le fonti scritte, oltre che negli ultimi decenni con il DNA antico (aDNA), perché non utilizzare anche il genoma di quelle specie che hanno accompagnato le spedizioni, le conquiste e le diaspore umane? Da circa un anno, l’IBBA ha iniziato parallelamente ad analizzare il genoma di alcune razze caprine target che hanno suggerito una possibile influenza di origine scandinava.

Questa idea è nata sia da un’osservazione più attenta di studi precedenti sia da una considerazione: i piccoli ruminanti e le capre in particolare, sono state trasportate lungo rotte terrestri e marittime a partire dalla loro domesticazione avvenuta circa 10.000 anni fa. Lo sviluppo dell’agricoltura e la susseguente metallurgia hanno dato vita ad una intricata rete di scambi commerciali tra i cui prodotti c’erano anche animali e piante da allevamento. Quindi questo ci fa ipotizzare che le razze più antiche possano avere conservato delle tracce di questo passato e che questo possa essere svelato e datato.

Per ripercorrere la storia dell’uomo cerchiamo reperti nascosti sottoterra ma se invece in base ai dati genetici potessimo ipotizzare nuove rotte o anche insediamenti che ancora non sono stati portati alla luce e rivelati? Potremmo considerare le razze locali come un surrogato delle razze più primitive e una fonte storica vivente?

La risposta è nell’avanzamento di questa ricerca che ha già dato risultati plausibili utilizzando vari marcatori molecolari che offrono diversi vantaggi perché permettono di studiare l’origine di queste razze con un approccio più completo. All’analisi degli SNP (polimorfismo a singolo nucleotide ossia una variazione del materiale genico a carico di un unico nucleotide), che ancora oggi costituiscono il marcatore molecolare più utilizzato negli studi di diversità genetica abbiamo affiancato la regione di controllo del DNA mitocondriale (uno dei marcatori classici per ricostruire le origini di una popolazione), seguito poi da un’analisi basata su un subset di dati per i quali avevamo a disposizione la sequenza dell’intero genoma. Prese nel loro insieme, queste analisi suggeriscono che alcune razze di capre italiane della zona della Val Passiria e Val Camonica, così come alcune razze irlandesi possono aver avuto un contatto (uno scambio genico dovuto agli incroci) con razze di origine scandinava.

Esistono studi precedenti che hanno studiato la componente genetica ancestrale di alcune specie quali il topo comune (Mus musculus), rivelando un collegamento evidente con gli scambi commerciali (ed invasioni) risalenti all’epoca dei Vichinghi. Note con il nome di “bioproxies”, questa ed altre specie che hanno accompagnato i movimenti delle popolazioni umane con tutte le loro vicissitudini, sono potenzialmente una enorme fonte di informazione. Inoltre, cercando analogie con un approccio multidisciplinare si possono collegare e far convergere le ipotesi, e quindi i risultati che le supportano, in un’unica strada comune.

Studi comparativi di genetica umana, paleobotanica, studi della composizione e della provenienza dei metalli utilizzati per costruire armi ed oggetti, studi sulla lana e sui tessuti ritrovati nelle tombe più antiche, sono solo alcuni mezzi per farlo. A questi si possono affiancare studi di linguistica ed in particolare l’onomastica (lo studio generale dei nomi propri di persona, dei cognomi e dei luoghi partendo dalle lingue e dai dialetti), che potrebbero contribuire a corroborare questi primi risultati, suggerendo il passaggio dei popoli del Nord nelle nostre terre alla ricerca di beni ma anche di un contatto culturale.

Considerare queste analogie con una prospettiva multidisciplinare offre la possibilità di aggiungere pezzi mancanti al grande mosaico della storia umana. Inoltre, apre la strada a interessanti collaborazioni interdipartimentali all’interno dello stesso CNR.

Forse dimostrare che le razze ovicaprine italiane hanno un potenziale come risorsa storica potrebbe essere di aiuto per riscattarle dall’oblio e per proteggere dall’estinzione. Guardare queste razze è guardare dentro di noi. Forse nei loro genomi affondano le nostre radici: la loro origine potrebbe essere uno specchio che rivela il nostro proprio passato.

Autore: Arianna Manunza

Istituto

Cerca nel sito