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Colture in vitro e contaminanti

27 Novembre 2023

L’inquinamento ambientale costituisce un argomento di grande attualità che tocca la coscienza individuale ed è molto sentito dall’opinione pubblica. Con il progredire della scienza e della tecnologia, nuovi materiali vengono sviluppati ed immessi nel mercato, riscuotendo particolare interesse per l’utilizzo in vari settori, quali quello biomedico, industriale ed agricolo. Tra i materiali di ultima generazione troviamo i cosiddetti nanomateriali, cioè materiali di dimensioni estremamente ridotte comprese nell’intervallo tra 1-100 nm e con particolari proprietà chimico-fisiche, elettriche e meccaniche che unitamente ai bassi costi di produzione, hanno contribuito al loro crescente successo. Con il termine nanomateriali si intendono diversi prodotti che si differenziano in base alla composizione chimica, alla forma e alla struttura come ad esempio gli ossidi e biossidi di metallo (nanoparticelle di argento, oro, titanio, zinco e rame sono i più utilizzati) e i composti a base di grafene (ossido di grafene, nanofogli di grafene, grafite ultrafine, nanostrisce di grafene, frammenti di grafene) che trovano un massiccio impiego in una vasta gamma di applicazioni industriali e prodotti di largo consumo, tra cui: imballaggi alimentari, dispositivi medici, cosmetici, prodotti tessili, vernici, prodotti per l’igiene e la pulizia e giocattoli per bambini.

Poiché la produzione globale e l’uso dei nanomateriali è in continuo aumento, il loro rilascio nell’ambiente durante il loro ciclo di vita (produzione, applicazione e smaltimento) e l’eventuale impatto sugli organismi viventi devono essere seriamente considerate. Sebbene siano presenti ancora a bassi livelli di concentrazione nell’ambiente, questi materiali sollevano una grande preoccupazione in quanto possono essere assorbiti dalle piante, bioaccumulati nei tessuti vegetali ed entrare nella rete alimentare, costituendo un pericolo anche per la salute dell’uomo.

Nell’ambito dell’ecotossicologia un approccio molto utilizzato per studiare il potenziale tossico di una sostanza è costituita dalle colture di cellule e tessuti in vitro. Con il termine colture in vitro si intendono diverse metodologie che consentono in molte specie vegetali di ottenere colture di cellule differenziate o di tessuti vegetali e rappresentano un valido strumento per lo studio della tolleranza ai contaminanti e per la valutazione dei meccanismi di assorbimento, esclusione o traslocazione nelle piante, soprattutto per quanto riguarda le specie arboree caratterizzate da lunghi cicli di riproduzione. L’uso delle colture cellulari permette di lavorare in condizioni controllate per quanto riguarda vari parametri come la luce, la temperatura, l’umidità e la composizione del mezzo di crescita e di ridurre i fattori ambientali in grado di influenzare la disponibilità delle sostanze tossiche nel mezzo di coltura. Inoltre, poiché le sperimentazioni con le colture in vitro vengono svolte in condizioni sterili, cioè in assenza di contaminazioni batteriche e/o virali, è possibile analizzare più in dettaglio le risposte e le capacità metaboliche delle cellule vegetali, distinguendole da quelle dei microrganismi normalmente presenti nella rizosfera o nei tessuti vegetali.

Nei laboratori CNR-IBBA viene usato questo approccio per studiare il potenziale effetto tossico di vari contaminanti organici ed inorganici sulle piante. In particolare, viene utilizzata come pianta modello il pioppo nero (Populus nigra L.), una specie molto comune in Europa, caratteristica degli ecosistemi ripariali, la cui capacità di tollerare e rimuovere diversi inquinanti è stata precedentemente testata sia in coltura idroponica che in vivo.

Recentemente, colture di calli di Populus nigra L. sono state testate per studiare l’effetto fitotossico di nanoparticelle di Ag rivestite da acido citrico (Cit) e L-cisteina (L-Cys) (AgNPs-Cit-L-Cys), un nanomateriale di nuova sintesi utilizzato per applicazioni ambientali, quali il monitoraggio di inquinanti nelle acque. In questo studio i calli di pioppo sono stati trattati con due diverse concentrazioni di AgNPs-Cit-L-Cys, più elevate di quelle attese nell’ambiente e per un periodo di esposizione lungo (21 giorni) in modo tale da indurre nelle cellule vegetali una risposta ben evidente. Inoltre, per capire se l’impatto delle AgNPs-Cit-L-Cys fosse dovuto alle loro caratteristiche chimico-fisiche o agli ioni Ag+ rilasciati, colture di calli sono stati trattati soltanto con AgNO3 alle stesse concentrazioni delle nanoparticelle e per lo stesso periodo di tempo ed i risultati sono stati confrontati. Il potenziale effetto tossico è stato valutato attraverso l’analisi di alcuni parametri biochimici e fisiologici associati alla risposta allo stress. I dati ottenuti hanno mostrato che AgNPs-Cit-L-Cys causano un maggior effetto tossico rispetto ad AgNO3 e che la fitotossicità potrebbe essere correlata alle loro proprietà chimico-fisiche e non attribuita solamente al rilascio degli ioni Ag+, confermando, inoltre, che l’impatto negativo è associato allo stress ossidativo, in quanto induce un aumento nella perossidazione lipidica delle membrane e l’attivazione dei meccanismi di difesa della cellula in cui sono coinvolti gli enzimi antiossidanti.

Ulteriori lavori sono in corso per indagare in modo più approfondito i meccanismi di assorbimento ed accumulo delle nanoparticelle nelle cellule vegetali anche a livello molecolare e per valutare il potenziale effetto fitotossico di altri materiali ed il loro rischio ambientale.

Autrice: Valentina Iori

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